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Il museo della lana a Scanno (AQ)

by in Musei della natura e dell'uomo
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foto del museo

Il museo antropologico di Scanno, dove sono esposti gli oggetti, i mobili, gli strumenti che servivano per lavorare la lana, ci ricorda quanto dobbiamo alle pecore, i miti animali che hanno sostentato la vita umana attraverso i secoli. Ci sono gli attrezzi di un ciabattino che usava fini pelli ovine conciate e ammorbidite per calzare i piedi dei clienti in confortevoli scarpe. Ci sono gli strumenti che servivano a trattare la lana e il latte per fare i formaggi. C’è quello che serve a ricordare la vita che, fino a cinquant’anni fa, era in parte ancora praticata. La lavorazione della lana, però, qui è stata importante solo fino all’ottocento, quando le donne se ne occupavano nei mesi invernali, mentre i mariti erano con le pecore che svernavano in pianura, sul tavoliere delle Puglie. In estate, quando tornavano al paese, le mogli li aiutavano nell’industria armamentaria, smantellata nel 1870. Da allora, il declino nella lavorazione della lana è stato costante, anche a causa della progressiva emigrazione in cerca di lavoro. Il vello era generalmente di colore scuro e serviva per realizzare il tipico mantello a ruota, le uose, i vestiti e le camicie da vendere ai mercati primaverili, che si tenevano anche in regioni lontane.

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foto del museo

I bambini scarmigliavano i bioccoli appena tosati, le mamme li cardavano, filavano e tessevano, utilizzando i semplici attrezzi esposti nel museo. Se il filato era bianco, lo si tingeva con sostanze naturali, utilizzando foglie, radici, cortecce. L’unica tinta che si doveva acquistare era l’indaco, pianta di origine indiana, come si deduce dal nome, che non cresce ad altitudini come quelle di Scanno, intorno ai 900 metri. Il suo blu, oltre a colorare, aumenta le proprietà isolanti dal caldo e dal freddo. Il colore verde si otteneva aggiungendo al blu il giallo ricavato dalle foglie di orniello, il frassino dai fiori bianchi e piumosi che dà anche la manna, la linfa dolce ancora usata in Sicilia in pasticceria e come blando medicinale. Le foglie dovevano essere colte entro giugno, prima che si indurissero.

Il rosso si otteneva grazie alla radice di robbia. Usando sostanze acide in aggiunta, si accentuava il colore, mentre si attenuava con quelle alcaline. Il rosso cremisi (detto anche Magenta) che tende al viola, si otteneva schiacciando le cinipi purpureee, parassiti delle piante.

Il mallo delle noci tingeva dal giallo fino all’avana, così come lo faceva la fuliggine. Aggiungendo una sostanza acida si otteneva il nero, che risultava anche dall’impiego del ferro.

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orniello fiorito

Nel museo si trova una valigia di pergamena, che ricorda un altro debito verso le pecore: tosata la lana, già quindici secoli prima di Cristo, a Pergamo trattavano la pelle ovina immergendola in acqua di calce e levigandola con pietra pomice fino a renderla sottile e adatta a tracciare scritti e dipinti sulla sua superficie. Robusta e flessibile, la pergamena è rimasta il materiale prediletto per copiare i preziosi codici miniati del medioevo e ancora oggi si sceglie per i documenti che si vogliono indistruttibili. Capre e vitelli sono stati sacrificati allo stesso scopo e le pelli degli animali più vecchi, per questo più resistenti, hanno rivestito i tamburi per ritmare la musica, ma anche per trasmettere messaggi col vibrare delle percussioni nell’aria e nella terra.

In ogni manufatto umano troviamo dunque l’eco di ciò che lo ha reso possibile, cioè animali e piante. Su di loro l’uomo ha proiettato anche l’immaginazione più profonda: il mito e la religione.

Il maschio della pecora -l’ariete dalle belle corna arrotolate a spirale- è simbolo di impulsività e ardimento, passione e generosità del carattere umano, riconoscibile in chi nasce all’inizio della primavera, quando tutta la natura è percorsa dall’irresistibile impulso amoroso. Nella cultura antica si è impresso il mito del vello d’oro di un ariete alato, mandato dagli dei per salvare i figli di Nefele. Dopo essere stato sacrificato, il suo mantello era diventato conquista di Giasone e degli argonauti.

Scanno si trova nella valle del Sagittario, che è il nome del fiume, oltre che del personaggio mitologico antico.

Il museo è aperto solo nella bella stagione e saperlo guardare nella sua prospettiva naturalistica, contribuisce ad accrescere le possibilità per la sostenibilità ambientale.

 www.regione.abruzzo.it/museum/museo.html

A pochi chilometri si possono trovare alberi monumentali molto belli.