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Fiori di campo, irriducibile avvenenza

by in Piante, giardini, parchi

fiore di carota selvatica

 

A dispetto dell’accanimento che i manutentori del verde impiegano per tosare l’erba, nei prati, nei campi e lungo i bordi delle strade, ogni estate ci sono fiori che si innalzano al di sopra del verde con la loro bellezza e ci risarciscono di tante brutture. Spesso sono le progenitrici delle piante che abbiamo trasformato secondo i nostri gusti per mangiarle, così che negli orti ormai abbiamo quelle dall’aspetto modificato al punto da non riconoscere la parentela con le altre. Loro, rimaste libere dalla domesticazione, che mettono ogni energia nel ricamare fiori vistosi per essere notate dagli insetti fecondatori. E se ogni anno, anche più volte ricrescono nonostante vengano trattate senza riguardi, è perché le sostanze di cui hanno bisogno per riprendersi subito dai tagli le immagazzinano nelle radici a rizoma, quelle grosse e spesse, al riparo sotto terra dal troppo ardore del sole o del fuoco in estate quanto dal gelo in inverno. Così i profani di botanica non immaginerebbero mai che quei fiori bianchi a ombrella e dalle foglioline delicate siano carote e altri dalle ombrelle ancora più grandi siano sedano, quelli lilla a raggiera appartengano alla cicoria e per quelli viola carico si tratti di salvia.

 

fiori di cicoria selvatica

 

Da luglio a settembre quelli della cicoria selvatica si aprono al mattino presto e prima di sera sono già esauste, quando non addirittura prima, se piove. Ma non importa, perché al mattino seguente sui duri, pelosi e zigzaganti steli senza foglie se ne aprono altri e il giorno dopo altri ancora. E’ solo nel secondo anno di vita che la cicoria è pronta per riprodursi con i semi e si fa bella di fiori per attrarre le api o qualsiasi impollinatore volenteroso. Così appena arriva la primavera accumula energie con la rosetta di foglie a raso terra e le mette al sicuro nella grossa radice amara, per poi lasciarle seccare entro luglio e innalzare i suoi fiori sul fusto nudo, forte del suo sostegno sotterraneo. E’ da lei che derivano tutte le insalate un po’ amarognole ed era la sua grossa radice a fittone quella che nei periodi di guerra e di povertà si seccava e si tostava per fingere che fosse caffè. Quella sua amabile austerità l’ha sempre resa amica della digestione di chi la mangiava e la si riconosce nei fusti che ne portano ala luce i fiori, capaci di resistere alle rudezze del sole o degli acquazzoni d’estate, agli animali e agli umani poco riguardosi nel passarle accanto. Ma quel tono delicato di lilla è tenero, è dolce e costringe a guardarlo e ad essergli grato.

 

fiori di salvia dei prati

 

Ad ottobre si vedono fluttuare in cima a steli di legno biondo e sottile, certi nidi leggeri, quasi gabbiette delicate che trattengono dal volarsene via i semi ancora immaturi ovali e piatti, pigiati come minuscole uova ritagliate in un cartoncino scuro.

Molti fusticini inalberano raggiere che culminano in altre più piccole e fitte, come piccole stelle. Sono i nidi ormai vuoti, le gabbiette aperte che adesso solo gli sguardi umani possono apprezzare. Per tutta l’estate avevano spalancato verso il sole una luce di minuscoli fiorellini bianchi tanto fitti da formare un’ombrella che al centro ne aveva uno viola scuro, per guidare gli insetti. Sono carote selvatiche, dal fittone un po’ legnoso sotto terra, per niente simile a quelle che siamo abituati a mangiare. Ma noi umani ci nutriamo anche di bellezza.

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