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Museo della civiltà dell’ulivo a Trevi (PG)

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olivo di sant'Emiliano, 1700 anni d'età

olivo di sant’Emiliano, 1700 anni d’età

 

Sulle colline intorno al Museo della civiltà dell’olivo nella Trevi tutta rosa, costruita al culmine di una di loro, il verde tende all’azzurro. Sono alberi giovani, perché ogni tanto una gelata invernale ne uccide la parte fuori terra. Nelle radici, però sopravvive la forza e l’esperienza della pianta, che proprio per questo riesce in un tempo relativamente breve a far crescere bene tanti nuovi polloni fra cui uno sarà scelto per diventare l’albero da accudire perché dia frutto al più presto. Solo l’olivo a cui millesettecento anni fa è stato legato il martire Emiliano è sopravvissuto e fruttifica, anche se il suo tronco è frazionato.

In primavera gli olivi si riempiono di fiori piccoli e bianchi a grappolo, fecondati dal vento, che danno frutti verdi o neri in autunno, a seconda di quanto sono maturi, da mangiare interi dopo essere stati trattati. Gli alberi sono mantenuti bassi, per poter cogliere le olive prima che diventino troppo acide e cadano spontaneamente per terra. In quel caso sono adatte per altri usi. Verdi sono buone per l’extravergine: insieme ai noccioli vengono frantumate e spremute per farne l’olio che, nel condire i cibi, offre le qualità che proteggono e curano.

 

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Nel museo della civiltà dell’olivo, che si può definire antropologico e naturalistico, si impara che i Paesi intorno al Mediterraneo hanno coltivato i begli alberi dalle chiome argentate fin dai tempi più lontani, ma dopo la fine dell’impero romano gli olivi e le viti sono stati trascurati tranne nei conventi, per gli usi liturgici e per alimentare le lampade dei luoghi sacri.

Nelle sale si vede la mola di pietra che serviva a macinare i frutti con i noccioli fino ad ottenere una pasta e si vedono i torchi a mano, usati per spremerne l’olio dai sacchi in fibra di cocco, in cui la pasta d’olive era messa. Ci sono bellissime lampade che un tempo erano alimentate con l’olio meno pregiato, ci sono anfore di terracotta in cui si conservava e si spediva via nave il prezioso prodotto dai tanti impieghi, fra cui quello per ottenere oli profumati.

 

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Molti pannelli descrivono e illustrano ciò che riguarda l’olivo e durante il percorso nel museo i ragazzi possono verificare quanto hanno imparato sugli olivi e sulla lavorazione dei loro frutti e conoscere i festeggiamenti che era tradizione fare alla fine del raccolto.

Ripartendo dopo la visita, potranno andare in un oliveto vicino all’abbazia di Bovara per vedere l’olivo di sant’Emiliano e verificare quanto gli alberi, se hanno buone radici sanno affrontare le sfide più difficili.

Poco più a sud vale la pena di visitare le fonti del Clitunno.

 

www.treviturismo.it/olio_e_ulivo/museo_della_civiltà_dellulivo

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