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Come si fa la pace: la commissione per la verità e la riconciliazione

by in Arte e cultura, Umanità

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Quando Nelson Mandela era diventato presidente del Sudafrica nel 1994, aveva affrontato il difficilissimo compito di riappacificare la popolazione bianca con quella nera, dopo che si erano combattute e odiate per moltissimo tempo. C’era il forte rischio di guerra civile, perché i neri volevano rifarsi del lungo periodo di segregazione, degli abusi di ogni genere, delle violenze subite fino ad allora. I bianchi avevano paura delle vendette.

Mandela, però, era un grande conoscitore dell’animo umano e nei ventisette anni durante i quali era stato prigioniero politico, aveva riflettuto sulle soluzioni possibili per la pace, una volta che fosse stato di nuovo libero. Voleva una vita giusta per tutti e non soltanto per i neri.  La sua sensibilità e lungimiranza gli erano state di aiuto per fare i passi fondamentali, indispensabili a questo scopo: imparare la lingua dei bianchi boeri, ovvero l’afrikaans, studiare la loro cultura, la loro storia, leggere i loro libri e giornali, cercare di capirli. Così, appena diventato capo di Stato, aveva fatto ciò che nessuno si aspettava, trattando gli ex nemici con lo stesso rispetto degli amici, cercando la loro collaborazione alla costruzione della nuova nazione “arcobaleno”. I suoi stessi famigliari, molti amici e compagni di partito, ovviamente si erano trovati in disaccordo con una simile scelta, del tutto diversa da ciò che avrebbe fatto chiunque di loro e aveva dovuto sostenere con grande coraggio il suo piano per il bene comune. Sapeva che privilegiare “i suoi” avrebbe finito col fare del male a tutti, perpetuando l’inimicizia fino alla rovina.

 

Nelson-Mandela

Nelson Mandela da idainternational.org

 

Quando era stato il momento di affrontare i processi per giudicare i crimini commessi nel periodo di durata dell’apartheid dal 1960 al 1994, invece di un tribunale come quello di Norimberga dopo la seconda guerra mondiale, in collaborazione col vescovo anglicano Desmond Tutu e con chi credeva nell’uguaglianza dei diritti, Mandela aveva voluto la “Commissione per la Verità e la Riconciliazione”.

Verità e riconciliazione sono due parole ben poco presenti nell’idea di giustizia che hanno i più. Ma chiunque abbia subito torti sa che ciò che porta pace nell’animo dell’offeso quanto dell’offensore non è tanto la punizione, bensì il vedere riconosciuta la verità dei fatti, il pentimento del responsabile e il suo chiedere perdono. Ecco perché la commissione incaricata di rendere giustizia aveva deciso che chi si era macchiato di delitti per scopi politici durante l’apartheid, purché non fosse il mandante e a condizione di riconoscere la verità e pentirsi, ottenesse l’amnistia.

Di solito i colpevoli negano la verità persino a se stessi, ma in Sudafrica dal 1995 al 1998 tanto i bianchi quanto i neri hanno fatto il difficile percorso di essere sinceri, guardando nel profondo del proprio animo, affrontando il dolore e la vergogna, comprendendo e facendo comprendere cosa era davvero successo.

Lo straordinario tribunale aveva contribuito in modo consistente a riconciliare almeno in parte quelli che, altrimenti, non avrebbero mai finito di scontrarsi, con conseguenze che sarebbero potute essere davvero terribili.

Purtroppo, dopo che Mandela si era ritirato dal potere, ormai molto anziano e malato, era mancato chi avesse il cuore e la mente altrettanto grandi e profondi. La mentalità autoritaria domina sempre, irresistibile ancora per troppi.

 

Per capire almeno i tratti essenziali del pensiero di Mandela, l’appassionante film INVICTUS, di Clint Eastwood è un ottimo inizio. Trovate la mia recensione qui