Blog

La claque

by in Umanità

Exif_JPEG_PICTURE

 

Quando era ancora nuovo dell’ambiente teatrale, in una delle sue prime esecuzioni di genere religioso, il musicista Hector Berlioz aveva avuto un successo ben più modesto di quanto ritenesse giusto. Un capo claque lo era andato a trovare e gli aveva fatto presente che era stato un errore, da parte sua, non ingaggiare lui e la sua compagnia. Berlioz gli aveva risposto che, non potendo applaudire un pezzo religioso, non vedeva di quale utilità sarebbe stata la presenza di una claque. L’uomo lo aveva guardato con compatimento, facendogli notare che c’erano ben altri modi per fare o disfare il successo di un lavoro, anche senza applausi: opportuni sospiri, donne che si asciugano gli occhi con un fazzoletto e commenti sottovoce sul potere di quella musica nell’elevare lo spirito.

Il musicista si era dunque ben presto adeguato alla necessità di suscitare sentimenti nel pubblico non solo con la composizione e l’esecuzione di un pezzo, ma con suggestioni prezzolate ed occulte.

Nel mestiere di pilota dei successi, fin dall’antichità il capo claque ha sempre fatto gesti in codice per dirigere la compagnia dei suoi artisti camuffati, di cui il pubblico non era conscio. La parte più importante la recitavano loro. Capitava che fosse un’intera famiglia a lavorare in quel settore, ingaggiata a volte dall’artista il cui nome era sul cartellone, altre volte dal direttore del teatro. In quel modo, si poteva anche dirigere verso l’insuccesso il lavoro più meritevole di un rivale, con rumoreggiamenti, commenti sfavorevoli, fischi, uscita dalla sala.

Di fronte ad una consistente disapprovazione, anche il più entusiasta degli spettatori finisce col sentirsi uno stupido e, se non segue esplicitamente i segni sgradevoli, limita o annulla quelli di consenso, che gli sarebbero stati spontanei. Resistere in una condizione di minoranza richiede molta forza d’animo e grande convinzione.

L’essere umano, pur essendo convinto di decidere autonomamente, è spesso pilotato durante tutta la vita, in parte da chi ha interesse a farlo, puntando sulla natura gregaria degli animali sociali. Buona parte del condizionamento viene, però, dalla naturale tendenza ad evitare ciò che è più faticoso. Decidere qualcosa è sempre impegnativo, anche se si tratta di dar retta a un’emozione. Lo è tanto di più, quanto meno ci si è educati a distinguere e scegliere, impiegando tempo ed energie. Così, nel momento in cui qualche sollecitazione raggiunge la parte più antica del cervello, in cui siamo uguali agli animali più primitivi, bastano uno o più segni da parte di una maggioranza o di qualcuno che abbia autorevolezza, per imitarli. Le sensazioni e poi i fatti, prendono così una direzione che sarebbe stata probabilmente diversa, senza esempi a cui adeguarsi.

Forse la claque non esiste più con le stesse modalità, ma prospera tuttora: nella pubblicità, nella politica, nei gruppi di ogni tipo e nelle famiglie. Siamo tutti a pagarla e non certo solo in denaro. Se vogliamo una migliore qualità della vita e premiare il merito, dobbiamo impegnarci tutti a renderci più autonomi rispetto ai condizionamenti sociali e personali. E’ impegnativo ma appassionante, come tutto ciò che apre nuove prospettive.