La fiabesca quercia di Basanello (AQ)
Un’apertura ad arco, perfetta e ben rifinita, è l’ingresso al tronco cavo della quercia di Basanello, che ha la forma di casa fiabesca dell’infanzia, di corona da regina dei boschi. Dieci robusti rami di forma dinamica e vivace come idee di genio, sono le lunghe punte del copricapo regale, del castello per le fantasie, posato ai margini di un bel prato. Entrando dalla sua porticina la si scopre senza tetto, di cui i suoi piccoli abitanti nascosti tra le fessure del legno o in alto, tra i rami, non hanno bisogno. A Settembre le ghiandaie vanno e vengono, appesantite nel loro volo dal gozzo pieno delle sue ghiande che nascondono qua e là per l’inverno. Le meno accorte ne lasciano cadere qualcuna e di altre dimenticano il nascondiglio, dando loro la possibilità di germogliare in nuovi alberelli. Così fanno le nocciolaie, gli scoiattoli e molti altri. Le cicale, che si nascondono sotto la sua corteccia, d’estate escono per far sentire la loro presenza come la sibilla cumana, la profetessa che nell’immaginazione degli uomini si era ridotta a quel modo a forza di invecchiare. Formiche e api, ragni e coccinelle, gufi e civette convivono nel palazzo ospitale ornato di muschio, nello spazio più adatto alla loro natura. Lei con tutto il suo fascino, vive nelle fantasie di quelli che l’hanno vista, e sono tanti.
I popoli nordici come gli antichi greci e i romani veneravano le querce, simboli di fedeltà e di forza per la loro robustezza. Per questo, corone fatte con rametti carichi delle loro inconfondibili, belle foglie lobate, erano messe sulla testa dei vincitori e di chi si era distinto per valore civico. In Grecia, a Dodona, c’era una quercia il cui frusciare delle foglie era interpretato dai sacerdoti di Zeus come risposta alle domande poste da chi era venuto per chiedere vaticini.
Tutto, delle querce, è utile: la corteccia e le foglie dai tannini che curano le malattie della pelle e servono per la concia del cuoio. Le ghiande, che un tempo venivano trasformate dagli uomini in farina per il pane con l’aggiunta di un po’ di argilla (che è curativa) o, in certe varietà, erano mangiate intere. I più ricchi le davano in pasto ai maiali, ma una parte è sempre stata per scoiattoli, ghiandaie, nocciolaie e altri piccoli animali. Le galle, provocate dalla puntura di insetti e simili a frutti sferici servivano per fare medicinali ed inchiostri o conciare le pelli. Quando il legno brucia dà molto calore, tanto che un tempo serviva per fondere l’oro, ma anche per il ceppo di Natale, tradizione per esprimere la gioia per la nascita di Gesù. Si metteva nel focolare la sera della vigilia e si badava a che non si spegnesse fino all’Epifania, aggiungendo nuova legna alle sue braci. Era già un uso degli antichi per il solstizio d’inverno quando il sole, raggiunto il suo massimo declino, torna a prendere forza.
Navi, mobili e porte molto resistenti erano fatte di quercia e sono ancora di rovere, che rilascia un po’ del suo sapore, le botti per stagionare il miglior vino e cognac. Col legno di roverella sono state realizzate le traversine per le ferrovie, così che una gran quantità di questi alberi un tempo molto diffusi, è sparita. Quando a Dicembre gli altri alberi sono spogliati, il loro fogliame è ancora quasi tutto sui rami e spicca col bel giallo senape che riscalda il cuore, prima che tutte le porte si chiudano e arrivi la neve.
Estratto dal mio libro Alberi Monumentali d’Italia e Alberi della Civiltà
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