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Una cecità che si può guarire

by in Piante, giardini, parchi, Umanità

fontana di Diana – villa d’Este – Tivoli

 

Innumerevoli volte si trovano piante in vaso moribonde o già morte di sete all’interno di locali pubblici come biblioteche, librerie, ville storiche aperte alle visite. Quando lo si fa notare con rammarico a chi lavora in quei locali si vede sui loro visi un’espressione stupita, come se lo stato di appassimento evidente fosse rimasto fino a quel momento invisibile. Rispondono “ma io cosa c’entro?” perché l’attenzione e il rispetto verso le piante sembra non far parte del senso civico. Se si suggerisce di soccorrerle annaffiandole, ci si sente rispondere “non tocca a me”. Se infine si dice “le sembra giusto lasciar morire delle piante sotto ai suoi occhi, unicamente perché non è l’incaricato ufficiale?” qualcosa comincia a cambiare nell’espressione dell’interlocutore, che però ancora resiste. Solo facendosi dare dei recipienti per l’acqua e procedendo in proprio all’annaffiatura mentre l’altro rimane perplesso, si può sperare di salvare quelle che sono prima di tutto degli esseri viventi, oltre ad un bene di tutti che, purtroppo nelle mentalità corrente, è sentito come se implicasse la responsabilità di nessuno. Anche solo considerando l’aspetto pratico, vengono sprecati tanti soldi provenienti dalle tasse per piante che si lasciano morire, spesso nei giardini pubblici, perché dopo averle messe a dimora vengono abbandonate. Succede addirittura che i privati le acquistino come oggetti decorativi e poi, presi da mille cose non sempre degne di attenzione, le trascurano e le lasciano seccare. Questo è solo una piccola parte di una questione molto ampia da considerare se vogliamo un mondo migliore.

Troppe persone, anche quelle gentili ed educate, spesso sembrano inconsapevoli di ciò che sta al di fuori della loro cerchia personale e sono cieche alla sofferenza e ai diritti di altri esseri viventi, che siano piante, animali o persone. Si lamentano di quanto il mondo sia pieno di brutture, senza rendersi conto che quella condizione può essere cambiata solo se ciascuno si prende la responsabilità almeno di ciò che c’è a portata di mano, di occhi e di orecchie. Se chi ha il dovere di occuparsi del bene comune non lo fa, è necessario che provvedano quelli che ne vengono a conoscenza. Per questo è necessario intervenire, sempre con modi educati e possibilmente gentili, affinché si riduca la cecità che si può guarire: quella dell’attenzione e della responsabilità, senza le quali si lascia posto alle ingiustizie, fino alle peggiori.

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