I miei articoli

Comunicazione fra piante e animali

by 6 Febbraio 2007
monteverde - ecoline 1994

monteverde – ecoline di Anna Cassarino 1994

Gli alberi più antichi, come le conifere (abeti, pini, larici, cipressi, tuje, sequoie e tutti quelli che hanno per frutti delle pigne legnose, dentro cui ci sono i semi) per riprodursi rilasciano grandi quantità di polline che il vento porta dai fiori maschili a quelli femminili di un altro albero. La comunicazione degli alberi fra loro e con gli animali avveniva principalmente attraverso le sostanze chimiche che si disperdevano nell’aria. Radici e foglie degli alberi ne decifravano il significato, nasi e antenne degli animali facevano altrettanto.

Poi, fra i centotrentacinque ed sessantacinque milioni di anni fa, dalla frequentazione di insetti, uccelli e piccoli mammiferi con gli alberi è nato un tipo di comunicazione nuova, che avrebbe rivoluzionato il mondo: i colori. Fiori a corolla e frutti con polpa colorata e profumata hanno cominciato ad essere prodotti dagli alberi per ottenere la collaborazione degli animali in una più efficace riproduzione. Api, bombi e farfalle, sensibilissimi ai colori, oltre che agli odori, sono stati da allora richiamati con fiori che nel fondo del calice hanno il nettare, dolce e nutriente bevanda prodotta dall’albero come benvenuto. Anche il polline, sistemato in cima alle antere (le ciglia dentro il fiore) è abbondante in modo da poter essere mangiato dagli insetti. Questi, nel prelevarlo ne rimangono immancabilmente impolverati, così che nell’entrare in un fiore della stessa specie ma su un altro albero, ne lasciano accidentalmente cadere uno che viene accolto nell’ovaio. Le api non consumano sul posto che una piccola quantità di cibo e portano il resto all’alveare. Col nettare fanno il miele e col polline altro cibo. Gli insetti impollinatori visitano tutti i fiori di una stessa specie, prima di passare ad un’altra. C’è un accordo anche in questo perché il polline di un ciliegio non potrebbe fecondare un biancospino.

A questo punto, il fiore si può trasformare in frutto, fatto per essere consumato da specifici animali. Molti sono uccelli, ma anche pipistrelli ed altri mammiferi sono coinvolti. I frutti, colorati e profumati secondo i gusti dei destinatari, vengono mangiati con i semi, che il giorno seguente sono rilasciati con le feci in un terreno magari favorevole alla loro germinazione, così che nasca un nuovo albero.

Gli alberi profumano i loro frutti soprattutto nelle ore in cui i fruitori li cercano e, per l’impollinazione, alcuni hanno rapporti con un solo insetto, tanto da aver modellato i propri organi sessuali in modo da permettere l’ingresso in esclusiva: ad esempio il fico, la vaniglia e la yucca. Ci sono alberi che hanno una comunicazione davvero molto spinta con gli impollinatori, come ad esempio l’ippocastano, che avverte cambiando il colore del fondo dei propri fiori da giallo in rosa acceso, quando sono già stati fecondati e non hanno più nettare né polline.

In questo modo, gli alberi ottengono un vantaggio in cambio di un altro, lasciando ancora un buon margine per altre creature che non danno contributo immediato ma con cui si crea una relazione favorevole ad un ambiente ricco e vario, con possibilità aperte verso altri scambi.

 

La forza dell’istinto

by 6 Febbraio 2007
termitaioleg

termitaio dotato di camini per l’aria condizionata naturale

 

 

Animali sociali come le api, certi uccelli e mammiferi, vivono in gruppi di centinaia o migliaia di individui. Senza che qualcuno dia ordini o decida per tutti, sanno affrontare anche gravi problemi ed emergenze con grande efficienza perché si riconoscono (all’odore) come parte di una comunità anziché come individui separati. Per questo, il bene di tutti è sentito come proprio.

Così, seguendo l’istinto che sa come agire, nei casi sperimentati per millenni, ogni individuo compie le attività necessarie a risolvere una situazione appena se ne accorge e spontaneamente. Al tempo stesso ciascuno è attento a ciò che fanno i vicini, per coordinarsi con loro, accogliendo e passando le informazioni utili allo scopo comune.

Quando le api cercano il nettare e il polline dei fiori, di cui si nutrono, quelle adatte all’esplorazione escono dall’arnia, si guardano intorno per memorizzare il posto in modo da ritrovarlo, esplorano, trovano, tornano. Portano un campione e lo fanno assaggiare ad alcune compagne. Poi, danzando nell’aria, descrivono coi movimenti la posizione esatta del luogo in cui si sono rifornite. Altre entrano nell’arnia e si muovono ritmicamente in una celletta. Al buio, le vibrazioni sono un linguaggio altrettanto espressivo della danza e le compagne, così informate, partono sicure.

Se nell’alveare fa troppo caldo, col pericolo di danni alla salute delle larve quanto delle adulte, le api presenti si mettono a battere le ali per far circolare aria fresca. Altre spruzzano acqua. Tutte, spontaneamente agiscono con prontezza, così migliaia di alucce trasparenti fanno l’azione di un bel ventilatore ed il problema si risolve. Raggiunto lo scopo, smettono.

In caso di sovraffollamento, la regina e un gruppo di operaie lasciano l’alveare e se ne cercano un altro. In attesa che le esploratrici lo trovino, si riuniscono in una palla, attaccate le une alle altre a rami d’albero o altro appiglio. In quel caso sono del tutto innocue e possono essere “colte” dagli apicoltori che offrono loro un alloggio pronto, in cambio del miele che produrranno.

Ogni singolo agisce con prontezza e sicurezza anche quando un predatore attacca uno stormo di uccelli ed il primo che se ne accorge si muove secondo lo schema previsto. I compagni, attenti, in un lampo fanno altrettanto e confondono il nemico che, se avrà successo, sarà con fatica, con il più debole e meno pronto.

Non ci sono imposizioni e l’unica competizione è quella fra i maschi per la fecondazione della femmina, mentre l’aggressività viene usata solo per difendersi dai nemici che minacciano la vita o che lo fanno credere.

I componenti di altri alveari, formicai o termitai, però, che hanno un odore diverso, sono percepiti come nemici e come tali combattuti. Questo ha senso in natura, dove la competizione ha lo scopo di selezionare i più resistenti e impedire l’esaurimento delle risorse e dello spazio.

 

 

 

Pecore d’oggi

by 6 Febbraio 2007

pecora1

Pochi usano la lana delle pecore italiane per farci le maglie o i tessuti: è troppo dura, troppo rustica per la nostra pelle ormai abituata alle raffinatezze. E’ quella delle straniere ad essere filata per rivestirci in inverno. Adesso che neppure i materassi si fanno più con questa fibra, quella delle poche pecore rimaste in Italia può diventare un cappotto per i muri delle case. Il mantello ovino appena tosato, viene trasformato in pannelli per impedire che i muri lascino entrare il freddo o sfuggire il calore dalle stanze, facendole però respirare con agio. E’ diventato importante risparmiare il combustibile per riscaldarle in inverno, o l’elettricità per il condizionamento estivo, a causa dell’inquinamento che la produzione di energia costa all’ambiente.

La modernità, che per qualche decennio sembrava dover scacciare i materiali e i metodi naturali, per fortuna è costretta a ricredersi e le pecore cominciano a trovare anche un altro impiego: quello di falciatrici d’erba che, al tempo stesso, rendono compatto il terreno, calpestandolo e lo concimano. Per di più, il loro carburante è l’erba stessa; quale macchina potrebbe fare altrettanto ed essere anche silenziosa e simpatica?

In Trentino/Alto Adige brucano sui prati abbandonati e che, senza di loro, potrebbero perdere la bellezza. In una regione che vive in buona parte di turismo, grazie alla sua natura, i prati ripidi hanno bisogno di un trattamento delicato e competente. Alle pecore, però, serve qualcuno che le curi e le porti agli indirizzi giusti. E’ a questo punto che si trova la sorpresa più grande: una pastora diplomata! La professione che fino a cinquant’anni fa era per uomini semplici, adesso può essere affidata a donne con studi di scuola media superiore. In Francia a Germania ci si specializza in tre anni, imparando applicazioni nuove per un lavoro antichissimo. Una pastora non si occupa solo di pecore ma di osservare la natura, dove può fare interventi competenti quando necessario. La sera può occuparsi della mungitura per poi fare un buon formaggio. Può realizzare piccoli oggetti di artigianato o dare informazioni ai visitatori. Ecco trasformato e modernizzato un lavoro che sarà certo impegnativo, ma di maggior soddisfazione di quanto non si sarebbe mai potuto immaginare!

La modernità delle pecore è stata provata anche a Torino, dove pare che si sia stipulato un contratto con un pastore per lo sfalcio dei prati fatto dai loro denti. Il vantaggio è di tutti: il pastore non deve spendere per far mangiare le sue bestie, il comune non deve spendere per tagliare i prati e le pecore, si spera che vengano viste con maggior riguardo per il loro lavoro.

 Ecco un modo intelligente per alzare la qualità della vita e la sostenibilità ambientale.

 

 

Asino moderno

by 6 Febbraio 2007

asino

Sono passati 6000 anni da quando l’asino selvatico, che viveva libero nell’Africa centrale come i suoi parenti zebre e cavalli, è stato addomesticato dall’uomo Un po’ di cibo, un riparo, qualche volta un po’ di affetto in cambio del suo lavoro, la sua sottomissione. Da allora il paziente e robusto animale è entrato nei miti, nelle religioni, costretto a prendere su di sé anche il basto delle necessità psicologiche dell’uomo. La stupidità e la malvagità si sono servite delle sue lunghe orecchie per farsi riconoscere in molte nazioni, opprimendo il pur simpatico animale con pesanti pregiudizi.

Lui, paziente, ha trasportato pesi di ogni genere sulla sua groppa fino a che, nei paesi ricchi, le macchine da lavoro e da trasporto lo hanno sostituito.

I sentieri e le strade sterrate dove camminava con discrezione sono stati allargati per far passare i grossi, rumorosi e puzzolenti animali di ferro che hanno rimpiazzato, col costante e prepotente rombo dei motori, i suoi occasionali ragli. L’erba, le foglie, il foraggio che lui mangiava con poca spesa, sono disdegnati dai bestioni meccanici che si ubriacano di liquidi tossici, spandendo in giro una nauseabonda e velenosa nube. In qualche posto, allora, hanno cominciato a rimpiangere i servizi dell’animale che, di taglia piccola o grande, in armonia con il carattere del suo territorio, viene riabilitato per i suoi giusti meriti.

Invece delle falciatrici meccaniche, nella provincia di Treviso si è voluto lasciare il taglio dell’erba ai denti degli asini, in tutti gli angoli ed i pendii irraggiungibili per le macchine quanto lo è il vistoso risparmio di denaro, inquinamento e stress. Intanto, invece dei mostri assordanti in certe strade di Sicilia, a Castelbuono, i sobri erbivori hanno adesso l’incarico di trasportare la spazzatura con più classe e ben minor spesa. Stanno tornando con onore all’antico mestiere di aiutanti dell’uomo, che un attore piemontese ricorda, nelle sue storie all’aria aperta assieme alla sua asina, incrociando magari i viaggiatori delle associazioni di trekking, che fanno i loro percorsi a piedi, lungo i sentieri e le strade mulattiere, accompagnati e aiutati nel trasporto dei bagagli, dalle bestie di accomodante compagnia.

 Ecco come contribuire ad innalzare la qualità della vita e la sostenibilità ambientale.

 

 

Messaggi odorosi

by 6 Febbraio 2007
naso

acquerello di Anna Cassarino

Un fitto tappeto di cellule nelle foglie e i petali delle creature vegetali riconosce i fili, le strisce, i brandelli, i teli di aromi trasportati dall’aria o nell’acqua per metri, per chilometri, fino a che si sfilacciano, si polverizzano e poco a poco scompaiono. Allo stesso modo in cui noi distinguiamo le parole di un discorso, con i suoi significati evidenti e sottintesi, i toni e le sfumature che ne esaltano o appiattiscono il significato, le piante comprendono i messaggi odorosi che arrivano loro da distanze impensabili per la vista ed il suono. Rispondono emanando a loro volta effluvi dalla composizione chimica che renderà le loro risposte altrettanto riconoscibili.

Dalle antenne degli insetti, la pelle dei pesci, le lingue dei rettili, le mucose nei nasi dei mammiferi, il più antico, immediato ed efficace sistema di comunicazione viene riconosciuto e suscita reazioni altrettanto rapide nei corpi delle creature dotate di ali o di zampe, quanto in quelli che hanno radici e foglie.

Molto minore è la sensibilità nella mucosa del nostro naso, che riconosce solo gli odori più forti da quando l’uomo ha abbandonato in buona parte questo modo di comunicare e di esprimersi, a favore delle forme, dei colori, delle parole.

Eppure, nella parte più antica del nostro cervello, simile a quella dei rettili e che risponde solo all’istinto, il linguaggio degli odori arriva ancora e il nostro corpo vi risponde. Odori che la nostra coscienza non riconosce, sono avvertiti e provocano reazioni, a nostra insaputa, là dove siamo uguali agli animali e ai vegetali.

E’ così che i cani, almeno quaranta volte più sensibili degli uomini nell’olfatto, sanno di noi ciò che la nostra consapevolezza ignora. Capiscono in questo modo le nostre sensazioni e, addirittura, il nostro stato di salute.

L’attenzione su questo aspetto si è attivata quando alcuni anni fa, in Inghilterra, il cane di una donna che aveva una piccola macchia scura sulla gamba, aveva iniziato ad annusarla con insistenza. Dal dermatologo ha scoperto un melanoma ad uno stadio non ancora pericoloso, che è stato eliminato.

Da allora sono iniziate le ricerche e l’addestramento dei cani per le diagnosi precoci di certe malattie. Così come vengono abituati a rintracciare persone scomparse, a riconoscere droghe ed esplosivi, adesso aiutano i medici in modo molto più rapido, economico e non invasivo oltre che, sicuramente, più simpatico di qualsiasi macchina.

Anche l’udito nei cani ha possibilità ben più ampie, rispetto alle nostre.

Infatti, mentre noi siamo insensibili agli ultrasuoni, che hanno una frequenza indecifrabile dal nostro orecchio, molti animali li percepiscono con chiarezza. Sono quelli emessi dalla terra prima dei terremoti o delle eruzioni vulcaniche, che in questo modo danno il tempo di correre ai ripari.

 

IDROTERAPIA: LA SCOPERTA DELL’ACQUA FREDDA

by 5 Febbraio 2007

 

vasca per idroterapia

vasca per idroterapia

 

Sono stati in tanti, fin dalle epoche più antiche, ad usare i bagni parziali o totali in acqua fredda per guarire molti mali. Agli inizi del diciannovesimo secolo, il giovane studente di teologia tedesco Sebastian Kneipp, non riuscendo a guarire dalla tubercolosi con le cure che gli avevano prescritto, ha cercato fra i libri un metodo che potesse seguire da solo. Ha così scoperto l’opera dei medici cinesi Hahn sull’idroterapia. Ogni giorno, da allora e per sei mesi, si era fatto una corsa a piedi per poi tuffarsi velocemente nel Danubio ed uscirne subito. Poi si era rivestito per rimetteitorsi a correre, questa volta verso casa. In questo modo era guarito. Da allora aveva sviluppato cure per moltissime malattie, con applicazioni d’acqua calda e fredda alternate che, nonostante le inevitabili difficoltà, si erano diffuse nei paesi di lingua tedesca agli USA, dove sono tuttora praticate.

La semplice acqua fredda, quando viene a contatto col corpo ben caldo, fa contrarre bruscamente dapprima i pori, poi i vasi sanguigni e via via ciò che si trova più in profondità. Questa azione meccanica ottiene l’effetto immediato di tonificare le parti e di far defluire le tossine che vi si trovano. Inoltre, per reazione il corpo attiva velocemente le sue difese, rendendo più vivace il sistema immunitario. Occorre naturalmente sempre mettere in pratica le cure dopo averne ben capito il funzionamento e con tutte le norme di prudenza necessarie in ogni attività. Nelle località montane dell’Alto Adige, come Solda, è possibile trovare percorsi di salute in cui è incluso il bagno dei piedi, delle mani e degli avambracci nell’acqua dei torrenti, fatta defluire in piccole vasche sicure.

In particolare per le donne con problemi di circolazione con gonfiore alle gambe ed ai piedi, il giovamento sarà molto gradito. La qualità della vita non dipende solo dal denaro.