I miei articoli

Muhammad Yunus e la banca etica

by 6 Febbraio 2007

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Nel 2006 ha avuto il premio Nobel per la pace, il banchiere del Bangladesh Muhammad Yunus. Ciò che ha realizzato, infatti, ha avuto una grande influenza sul miglioramento delle condizioni di vita di molte persone in tutto il mondo. E’ stato possibile perché quest’uomo, che insegnava economia all’università negli USA, si era reso conto di quanto le teorie economiche non tenessero conto della realtà. Dopo uno dei tanti disastri “naturali” del suo Paese nel 1974, ha deciso di verificare di persona, girando per le strade della sua città, quale fosse la reale causa della sua terribile povertà: il sistema finanziario. Infatti, dato che a chi non ha niente, nessuno dà niente, una gran quantità di persone restava nella miseria, in balia degli usurai.

Ha voluto dunque mettere alla prova un modo nuovo di essere banchiere: offrire micro crediti sulla fiducia alle donne, perché sono loro le più affidabili tanto nell’utilizzo del denaro, quanto nella restituzione dei prestiti. Ha saputo capire l’animo umano e dargli fiducia nel modo giusto.

La sua idea ha avuto un enorme successo: non solo ha guadagnato, ma ha provocato un grande beneficio nella situazione di numerosissime famiglie. A questo punto, le donne erano arrivate a desiderare prestiti anche per costruirsi una casa. Yunus, però, ha concesso il denaro solo a condizione che fossero proprietarie del terreno. Questo perché, in caso contrario, i mariti o i parenti le avrebbero potute defraudare, dato che il proprietario del terreno diventa proprietario di ciò che vi sta sopra. Le donne hanno dunque tanto insistito presso le loro famiglie, da ottenere quanto necessario.

E’ ispirandosi a quest’uomo tanto lungimirante che sono nate le banche etiche in tutto il mondo. Lui non ha fatto beneficenza, ha usato la sua intelligenza in modo lungimirante ed umanamente degno.

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Il mondo interiore è importante quanto quello che ci circonda. Ecco perché questo sito si occupa di entrambi.

JAIME LERNER e la buona strada di Curitiba

by 6 Febbraio 2007

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Jaime Lerner è stato sindaco di Curitiba per ben tre volte, fra il 1971 ed il 1992. Questo ha fatto diventare la città brasiliana, che ha quasi due milioni di abitanti, un esempio di efficienza, vivibilità, rispetto delle persone e dell’ambiente. L’architetto trentatreenne Lerner, dopo un anno dal suo insediamento aveva dato avvio alle sue iniziative sorprendenti, trasformando la città. Voleva fare del centro la prima isola pedonale al mondo, ma aveva trovato grandi resistenze nei commercianti e negli automobilisti. Così, un venerdì sera, alla chiusura degli uffici pubblici, ha fatto entrare in azione uno stuolo di giardinieri ed operai che, lavorando giorno e notte, hanno installato per le strade tutto il necessario, compresa una gran quantità di piante e fiori. Oltre alle proteste, in moltissimi si erano presi i fiori per portarseli a casa propria. Sono stati sostituiti man mano che sparivano, fino a che li hanno lasciati stare. Nel frattempo, i quartieri diventati improvvisamente piacevoli da percorrere a piedi, hanno attirato più compratori di quanto ce ne fossero prima, ed i negozianti sono stati ben felici. I ragazzi che continuavano a strappare le piante all’orto botanico, invece di essere puniti sono stati assunti come giardinieri, con ottimi risultati.

Jaime Lerner , sindaco di Curitiba

Intanto, i mezzi di trasporto pubblici sono stati potenziati e resi efficientissimi, con pensiline confortevoli per la pur breve attesa, oltre che per un agevole accesso agli autobus. Ben presto, il traffico automobilistico si è ridotto notevolmente, perché la gente ha cominciato a preferire il trasporto pubblico. Sono stati soppressi i controllori ed i bigliettai, fiduciosi che i cittadini avrebbero pagato volentieri per un trasporto ben organizzato. E’ avvenuto proprio così e le spese sostenute sono state ripagate. Alberi in gran quantità sono stati messi a dimora ovunque, le biblioteche sono proliferate e sono state rese visibili da lontano, le scuole hanno offerto anche corsi serali.

Sono state costruite case popolari molto belle ed agli indigenti è stata offerta la possibilità di lavorare per la raccolta differenziata della spazzatura, ormai efficientissima, grazie al fatto che vengono ricompensati con buoni pasto, trasporto e studio, in cambio di ciò che portano ai centri di smistamento.

Curitiba è la città più verde al mondo e pare un vero miracolo, pur essendo vera, perché ha puntato sulla valorizzazione dell’uomo e dei luoghi, anziché sulla repressione e lo sfruttamento. Ci hanno guadagnato tutti, in un’operazione intelligente come quella di Jaime Lerner e ciascuno di noi può dare una mano nello stesso senso, anche solo diffondendo informazioni come questa. Capire l’animo umano permette di valorizzarlo e di toccare il tasto giusto per farlo progredire. Questo vale per tutti, che possiamo così contribuire alla qualità della vita: la nostra quanto quella degli altri.

 

ANTANAS MOCKUS porta il sorriso a Bogotà

by 6 Febbraio 2007

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Pare un sogno che un sindaco, per di più di una grande e difficile città come Bogotà, capitale della Colombia, si sia fatto ricordare per aver dato un concreto sollievo ai gravi problemi locali, grazie alla sua creatività umoristica. Antanas Mockus Sivikas, di origine lituana, oltre ad aver fatto innovazioni concrete, infatti, ha cambiato il modo di comunicare puntando sull’accrescimento dell’autostima delle persone e sul loro bisogno di alleggerire il peso della vita. Una bella risata o un bel pianto liberatorio hanno la capacità di smuovere i macigni più duri. Così, dopo aver costruito una grande rete di piste ciclabili ed aver potenziato notevolmente i mezzi pubblici, il sindaco ha ridotto notevolmente l’indisciplina degli automobilisti grazie all’intervento di 420 clowns ai semafori. Là dove si concentravano gli incidenti e le aggressioni, invece di severi vigili ha messo dei buffi giovanotti che mimavano sdegno o contentezza, mettendo in ridicolo o gratificando gli autisti, a seconda dei casi. Dove l’intimidazione aveva fallito, trionfava la risata.

In una manifestazione contro la criminalità, ha sfilato portando un giubbetto anti-proiettile con un buco a forma di cuore sul petto. Mettendo l’educazione e l’esempio al centro del suo progetto, in un periodo di siccità si è fatto filmare mentre faceva la doccia al risparmio. Infatti, quando si insaponava e si strofinava, teneva chiusa l’acqua, aprendola solo quando era davvero necessario. Ha dato ai cittadini il modo di esprimersi a favore o contro il comportamento dei loro simili in modo pacifico, con dei cartellini di colori diversi. Questo ha permesso loro di evitare atteggiamenti aggressivi, pur potendo manifestare disapprovazione.

Per premiare i meritevoli anche fatto identificare i tassisti migliori, creando i CAVALIERI DELLA ZEBRA.

Matematico e filosofo, figlio di un artista, ha inteso guidare educando la sua classe di sei milioni e mezzo di abitanti. Tutto questo mentre provvedeva a molte azioni concrete. Dopo ben due mandati come sindaco si è candidato a presidente della repubblica, ma ancora non ce l’ha fatta. Speriamo avvenga la prossima volta.

 

Comunicazione fra piante e animali

by 6 Febbraio 2007
monteverde - ecoline 1994

monteverde – ecoline di Anna Cassarino 1994

Gli alberi più antichi, come le conifere (abeti, pini, larici, cipressi, tuje, sequoie e tutti quelli che hanno per frutti delle pigne legnose, dentro cui ci sono i semi) per riprodursi rilasciano grandi quantità di polline che il vento porta dai fiori maschili a quelli femminili di un altro albero. La comunicazione degli alberi fra loro e con gli animali avveniva principalmente attraverso le sostanze chimiche che si disperdevano nell’aria. Radici e foglie degli alberi ne decifravano il significato, nasi e antenne degli animali facevano altrettanto.

Poi, fra i centotrentacinque ed sessantacinque milioni di anni fa, dalla frequentazione di insetti, uccelli e piccoli mammiferi con gli alberi è nato un tipo di comunicazione nuova, che avrebbe rivoluzionato il mondo: i colori. Fiori a corolla e frutti con polpa colorata e profumata hanno cominciato ad essere prodotti dagli alberi per ottenere la collaborazione degli animali in una più efficace riproduzione. Api, bombi e farfalle, sensibilissimi ai colori, oltre che agli odori, sono stati da allora richiamati con fiori che nel fondo del calice hanno il nettare, dolce e nutriente bevanda prodotta dall’albero come benvenuto. Anche il polline, sistemato in cima alle antere (le ciglia dentro il fiore) è abbondante in modo da poter essere mangiato dagli insetti. Questi, nel prelevarlo ne rimangono immancabilmente impolverati, così che nell’entrare in un fiore della stessa specie ma su un altro albero, ne lasciano accidentalmente cadere uno che viene accolto nell’ovaio. Le api non consumano sul posto che una piccola quantità di cibo e portano il resto all’alveare. Col nettare fanno il miele e col polline altro cibo. Gli insetti impollinatori visitano tutti i fiori di una stessa specie, prima di passare ad un’altra. C’è un accordo anche in questo perché il polline di un ciliegio non potrebbe fecondare un biancospino.

A questo punto, il fiore si può trasformare in frutto, fatto per essere consumato da specifici animali. Molti sono uccelli, ma anche pipistrelli ed altri mammiferi sono coinvolti. I frutti, colorati e profumati secondo i gusti dei destinatari, vengono mangiati con i semi, che il giorno seguente sono rilasciati con le feci in un terreno magari favorevole alla loro germinazione, così che nasca un nuovo albero.

Gli alberi profumano i loro frutti soprattutto nelle ore in cui i fruitori li cercano e, per l’impollinazione, alcuni hanno rapporti con un solo insetto, tanto da aver modellato i propri organi sessuali in modo da permettere l’ingresso in esclusiva: ad esempio il fico, la vaniglia e la yucca. Ci sono alberi che hanno una comunicazione davvero molto spinta con gli impollinatori, come ad esempio l’ippocastano, che avverte cambiando il colore del fondo dei propri fiori da giallo in rosa acceso, quando sono già stati fecondati e non hanno più nettare né polline.

In questo modo, gli alberi ottengono un vantaggio in cambio di un altro, lasciando ancora un buon margine per altre creature che non danno contributo immediato ma con cui si crea una relazione favorevole ad un ambiente ricco e vario, con possibilità aperte verso altri scambi.

 

La forza dell’istinto

by 6 Febbraio 2007
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termitaio dotato di camini per l’aria condizionata naturale

 

 

Animali sociali come le api, certi uccelli e mammiferi, vivono in gruppi di centinaia o migliaia di individui. Senza che qualcuno dia ordini o decida per tutti, sanno affrontare anche gravi problemi ed emergenze con grande efficienza perché si riconoscono (all’odore) come parte di una comunità anziché come individui separati. Per questo, il bene di tutti è sentito come proprio.

Così, seguendo l’istinto che sa come agire, nei casi sperimentati per millenni, ogni individuo compie le attività necessarie a risolvere una situazione appena se ne accorge e spontaneamente. Al tempo stesso ciascuno è attento a ciò che fanno i vicini, per coordinarsi con loro, accogliendo e passando le informazioni utili allo scopo comune.

Quando le api cercano il nettare e il polline dei fiori, di cui si nutrono, quelle adatte all’esplorazione escono dall’arnia, si guardano intorno per memorizzare il posto in modo da ritrovarlo, esplorano, trovano, tornano. Portano un campione e lo fanno assaggiare ad alcune compagne. Poi, danzando nell’aria, descrivono coi movimenti la posizione esatta del luogo in cui si sono rifornite. Altre entrano nell’arnia e si muovono ritmicamente in una celletta. Al buio, le vibrazioni sono un linguaggio altrettanto espressivo della danza e le compagne, così informate, partono sicure.

Se nell’alveare fa troppo caldo, col pericolo di danni alla salute delle larve quanto delle adulte, le api presenti si mettono a battere le ali per far circolare aria fresca. Altre spruzzano acqua. Tutte, spontaneamente agiscono con prontezza, così migliaia di alucce trasparenti fanno l’azione di un bel ventilatore ed il problema si risolve. Raggiunto lo scopo, smettono.

In caso di sovraffollamento, la regina e un gruppo di operaie lasciano l’alveare e se ne cercano un altro. In attesa che le esploratrici lo trovino, si riuniscono in una palla, attaccate le une alle altre a rami d’albero o altro appiglio. In quel caso sono del tutto innocue e possono essere “colte” dagli apicoltori che offrono loro un alloggio pronto, in cambio del miele che produrranno.

Ogni singolo agisce con prontezza e sicurezza anche quando un predatore attacca uno stormo di uccelli ed il primo che se ne accorge si muove secondo lo schema previsto. I compagni, attenti, in un lampo fanno altrettanto e confondono il nemico che, se avrà successo, sarà con fatica, con il più debole e meno pronto.

Non ci sono imposizioni e l’unica competizione è quella fra i maschi per la fecondazione della femmina, mentre l’aggressività viene usata solo per difendersi dai nemici che minacciano la vita o che lo fanno credere.

I componenti di altri alveari, formicai o termitai, però, che hanno un odore diverso, sono percepiti come nemici e come tali combattuti. Questo ha senso in natura, dove la competizione ha lo scopo di selezionare i più resistenti e impedire l’esaurimento delle risorse e dello spazio.

 

 

 

Pecore d’oggi

by 6 Febbraio 2007

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Pochi usano la lana delle pecore italiane per farci le maglie o i tessuti: è troppo dura, troppo rustica per la nostra pelle ormai abituata alle raffinatezze. E’ quella delle straniere ad essere filata per rivestirci in inverno. Adesso che neppure i materassi si fanno più con questa fibra, quella delle poche pecore rimaste in Italia può diventare un cappotto per i muri delle case. Il mantello ovino appena tosato, viene trasformato in pannelli per impedire che i muri lascino entrare il freddo o sfuggire il calore dalle stanze, facendole però respirare con agio. E’ diventato importante risparmiare il combustibile per riscaldarle in inverno, o l’elettricità per il condizionamento estivo, a causa dell’inquinamento che la produzione di energia costa all’ambiente.

La modernità, che per qualche decennio sembrava dover scacciare i materiali e i metodi naturali, per fortuna è costretta a ricredersi e le pecore cominciano a trovare anche un altro impiego: quello di falciatrici d’erba che, al tempo stesso, rendono compatto il terreno, calpestandolo e lo concimano. Per di più, il loro carburante è l’erba stessa; quale macchina potrebbe fare altrettanto ed essere anche silenziosa e simpatica?

In Trentino/Alto Adige brucano sui prati abbandonati e che, senza di loro, potrebbero perdere la bellezza. In una regione che vive in buona parte di turismo, grazie alla sua natura, i prati ripidi hanno bisogno di un trattamento delicato e competente. Alle pecore, però, serve qualcuno che le curi e le porti agli indirizzi giusti. E’ a questo punto che si trova la sorpresa più grande: una pastora diplomata! La professione che fino a cinquant’anni fa era per uomini semplici, adesso può essere affidata a donne con studi di scuola media superiore. In Francia a Germania ci si specializza in tre anni, imparando applicazioni nuove per un lavoro antichissimo. Una pastora non si occupa solo di pecore ma di osservare la natura, dove può fare interventi competenti quando necessario. La sera può occuparsi della mungitura per poi fare un buon formaggio. Può realizzare piccoli oggetti di artigianato o dare informazioni ai visitatori. Ecco trasformato e modernizzato un lavoro che sarà certo impegnativo, ma di maggior soddisfazione di quanto non si sarebbe mai potuto immaginare!

La modernità delle pecore è stata provata anche a Torino, dove pare che si sia stipulato un contratto con un pastore per lo sfalcio dei prati fatto dai loro denti. Il vantaggio è di tutti: il pastore non deve spendere per far mangiare le sue bestie, il comune non deve spendere per tagliare i prati e le pecore, si spera che vengano viste con maggior riguardo per il loro lavoro.

 Ecco un modo intelligente per alzare la qualità della vita e la sostenibilità ambientale.