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Mirti monumentali della Kolymbetra (AG)

by in Italia inconsueta, Piante, giardini, parchi

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Il nome Kolymbetra ha l’aura di qualcosa che viene da lontano: era la parola greca per “piscina” all’epoca degli edifici sacri, quando in una piega della valle dei templi era stata realizzata una grande vasca dove raccogliere l’acqua di fonti, ruscelli ed acquedotti. Lì era nato un giardino dove si riposavano i tiranni dell’antica Agrigento, quando aveva il nome di Akragas e i comuni cittadini lo frequentavano liberamente.

Il FAI lo ha restaurato perché si potesse di nuovo passeggiare fra alberi e colture tradizionali, trattate nel modo oculato che si usava quando l’acqua era considerata con riguardo, invitata a scorrere nei canaletti e a raccogliersi nelle vasche. Disseta agrumi e melograni, gelsi, fichi d’India e mirti cresciuti fino a diventare alberi, in più di centocinquant’anni di vita. La loro natura di arbusti impedisce che se ne riconosca facilmente la monumentalità, nella dimensione di alberelli.

Loro che erano sacri a Venere al tempo in cui l’Italia era abitata dagli dei, erano simbolo di fecondità e gli sposi si mettevano in testa corone dei suoi rametti durante il banchetto di nozze. Quella reputazione se l’erano fatta forse per la facilità con cui si riproducono, i sempreverdi dalle piccole foglie vagamente simili a quelle del pungitopo e i delicati fiori bianchi che si trasformano in bacche blu o bianche, come in questo giardino. Per natura prediligono terreni granitici, ma qui dove ci sono rocce calcaree avranno forse trovato ugualmente un piccolo spazio adatto.

Il nome Myrtò era quello di un’amazzone greca che aveva combattuto l’eroe Teseo e Myrsine era una ragazza invincibile nelle gare atletiche, anche contro i ragazzi. Per questo i greci coronavano i vincitori delle gare elee con corone di questo arbusto.

Roma era detta città del mirto perché si trova nella zona dove ce n’erano moltissimi, invece adesso è la Sardegna ad averne in quantità. Si coltivano per farne un liquore digestivo ed estrarre dalle foglie l’olio essenziale che cura la tosse ed il catarro. E’ un’essenza che sa di arancio ed era usata nel medioevo per distillare l’acqua angelica.

A fine Giugno qui si miete il grano a mano, in una cerimonia per il pubblico che poi assiste alla trebbiatura fatta dai muli e alla cernita delle paglie. La farina è per il pane che dopo sette giorni viene impastato e cotto in onore del popolare santo nero, Calogero.

estratto dal mio libro Alberi Monumentali d’Italia