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Seta selvatica

by in Animali, Piante, giardini, parchi

Argema mittrei – falena da seta del Madagascar

 

Poco dopo aver lasciato l’imbarcadero di Tavernola, lungo la strada che va verso Como, un albero sinuoso si sporge sul lago, offrendo metà della sua chioma come riparo dal sole ai tanti che sostano in quel punto del marciapiede ad ammirare il panorama. E’ un ailanto, che nell’Asia da cui proviene chiamano Albero del Paradiso, perché quando può diventa molto alto e quando glie lo si chiede dispensa sostanze curative preziose, oltre ad essere bello e vitale più di altri. In Europa è odiato come se venisse dall’inferno, perché al contrario della maggior parte degli alberi, sia pure tagliandogli le radici cresce e ricresce anche dove non è gradito. Era arrivato in Europa nel settecento e si era diffuso un secolo dopo, al protrarsi di una malattia dei bachi da seta e dei gelsi delle cui foglie si nutrivano. Temendo l’annientamento di un’economia importante per l’Italia e per tutte le altre nazioni, si era provato a sostituire i bachi sempre più deboli del Bombyx mori con quelli della bella e grande Samia cinthya, che mangiano solo foglie d’ailanto. L’esperimento non aveva funzionato e per l’albero si era trovato impiego nel consolidare scarpate franose, che sa trattenere con le sue formidabili radici.

 

Bombyx mori – foto da Paradise fiber blog

 

Forse per la prima volta si prendeva in considerazione che il filo di seta non era un’esclusiva di quel baco trafugato coi semi di gelso mille anni prima dalla Cina, dopo che se ne era scoperto il segreto. Dentro un bozzolo in cui il bruco si trasforma in falena, nei boschi di tutto il mondo si avvolgono in tanti. I Bombyx mori, dopo accurate selezioni fatte dai cinesi per migliorarne il filo, non sapevano più vivere in natura dove erano diventati inetti, ma solo sui graticci nelle case o nei locali riservati a loro. Al coperto li si allevava comodamente fino a che si chiudevano nella loro piccola culla di seta, con un filo di lunghezza e qualità superiori a qualsiasi altro. I poveri alberi di gelso a maggio subivano il taglio dei rami perché si potessero prendere più comodamente le foglie da dare in pasto ai bachi.

Nel resto del mondo, invece, le falene volavano libere e deponevano le uova sotto le foglie dei loro alberi preferiti, di cui i bruchi si sarebbero cibati in continuazione durante settimane. Per gli alberi è sempre una dura prova e anche gli umani ne soffrono, soprattutto se si tratta di quelli da frutto come il mango, l’anacardio, l’avocado, l’annona.

Se il nemico non si può sconfiggere occorre farselo amico e così durante millenni i cinesi e gli indiani, ma anche altri popoli, dove non hanno potuto cogliere frutta hanno colto bozzoli di seta per farne seducenti tessuti da commerciare. Hanno aiutato gli alberi a riprodursi e a riprendersi dal crudele trattamento, trasformandoli da vittime in alleati. Da anni è così anche in molti Paesi dove popolazioni inizialmente destinate alla miseria hanno trovato un lavoro dignitoso e redditizio e gli alberi vengono messi a dimora e accuditi, dove prima erano abbandonati.

 

Samia cinthya – falena dell’ailanto

 

La seta presso certi popoli serve meno a rendere eleganti le persone e le case e più per riti antichi. In Madagascar, nella regione calda e asciutta dell’Isalo, la falena Borocera madascariensis, deposita le sue uova su alberi simili al pittosporo, gli Uapaca bojeri e la seta dei suoi bruchi serve a tessere teli in cui vengono avvolte le ossa dei defunti, durante cerimonie rituali. E’ detta “seta selvatica” perché si lascia che la falena compia per intero il suo ciclo vitale in libertà nei boschi e dunque non venga uccisa, come avviene invece per evitare che il filo venga spezzato, alle specie allevate al coperto.

La falena più bella dell’isola e addirittura del mondo vive nella foresta pluviale malgascia. E’ l’Argema mittrei, grande come una mano, con ali color giallo brillante che si concludono verso il basso con due lunghe code. Il suo filo è color argento ed è preziosissimo, costoso, ambito.

In India una seta chiamata Muga che sembra fatta d’oro è opera della Antheraea assamensis, quasi impossibile da trovare al di fuori della regione dell’Assam. Il suo filo tessuto diventa sempre più bello con il tempo, respinge le macchie, non si può tingere né scolorire. Non stupisce dunque che fosse riservato in passato ai tessuti della famiglia reale. L’aspetto della falena è tenebroso, severo, ma i suoi gusti in fatto di alberi sono vari: il canforo, l’alloro, la magnolia, la quercia e altri ancora, su cui i bruchi verdi filano i bozzoli fino a sei volte l’anno. La Cricula trifenestrata in India, Filippine e Indonesia è l’unica con cui si possa paragonarla.

 

Attacus atlas

 

Nelle Filippine, in Thailandia, in Malaysia vola la Attacus atlas, le cui ali color cannella con disegni bianchi, che misurano trenta centimetri, culminano con quella che appare una testa di cobra e sono le più grandi del mondo. Sui salici e sui pioppi i suoi bruchi emettono una seta robusta chiamata zagara.

Il corpo più voluminoso fra le falene è quello della femmina di Gonometa postica, che vive nell’Africa australe e i cui bruchi si nutrono delle foglie di Acacia eriloba. I grandi involucri di resistentissima seta di cui se ne lasciano alcuni intatti e vuoti, diventano sonagli quando vengono riempiti con semi secchi e usati nelle cerimonie magico-religiose del Sudafrica e della Namibia. Assomigliano ai baccelli corti e larghi dell’acacia, mangiati dagli erbivori che a volte inghiottono con loro i duri bozzoli e muoiono.

Da quando le falene setaiole vengono trattate da produttrici e non più da parassite, moltissime famiglie nei Paesi citati hanno finalmente un reddito dignitoso e alberi delle tante specie nutrici sono stati messi a dimora in interi boschi. Il lasciare per quanto possibile che la seta resti selvatica ha reso più sostenibile anche per gli animali e gli alberi, un’attività umana che proprio per questo aggiunge il turismo alle sue attrattive. Visitare le comunità che si dedicano alla seta prodotta così, insegna che il proprio interesse si può raggiungere anche senza nuocere più dell’inevitabile a quello di altri esseri viventi. Basta pensarci e cominciare a compiere i primi passi.

 

Articolo di Anna Cassarino pubblicato il 31.5.2020 sul supplemento culturale della domenica della Provincia di Como e Sondrio