I miei articoli

Alberi parenti delle rose

by 27 Marzo 2024

Fiori di rosa selvatica (canina)

 

E’ quando vediamo i primi alberi coperti di fiori come fossero neve, che crediamo davvero al ritorno della primavera. Sono tutti parenti delle rose selvatiche, ultime ad aprire le corolle dai cinque petali, ai margini dei prati incolti all’inizio dell’estate. Contrariamente alle rose, gli alberi della loro famiglia non hanno spine, che sono numerose invece per l’arbusto di rovo dalle profonde e diramate radici, fiorito a giugno e con le more per frutti.

I primi a risvegliarsi già a gennaio nelle regioni più calde come la Sicilia sono i mandorli dai petali rosati. Poi vengono i meli, i peri, i susini, gli albicocchi, i peschi e i ciliegi, i biancospini, i sorbi, i nespoli, fecondati dalle api e altri insetti, come avviene per le piante ermafrodite, che hanno gli organi maschili (stami) e femminili (pistilli), nello stesso fiore.

Mentre ciò che noi e gli animali ricerchiamo come cibo sono i frutti degli alberi di rosacee, i petali sono quanto più apprezziamo nelle rose per il profumo, la bellezza e le virtù curative. Non i pochi di quelle selvatiche, ma i numerosi ottenuti attraverso le selezioni e manipolazioni umane nel corso dei millenni, che crescono nei giardini. Quando le rose non vengono colte, entro l’autunno maturano le bacche rosse che sono i loro frutti chiamati cinorrodi, con cui si preparano ottime marmellate.

 

melo in fiore

 

Millenni fa il più rustico fra gli alberi parenti delle rose, il mandorlo dai frutti amari e tossici, per cause ancora incerte ha subito una grande trasformazione e ha eliminato il veleno chiamato amigdalina che, se ingerito, si trasforma in mortale cianuro. E’ così iniziata la sua coltivazione per avere cibo molto nutriente e olio commestibile particolarmente benefico per la pelle. I mandorli selvatici e amari esistono ancora e una piccola quantità dei loro semi era tollerata per dare un gusto particolare ai biscotti e al liquore amaretto, sostituiti da tempo dall’aroma creato artificialmente.

Anche i piccoli semi delle mele sono velenosi, ma la quantità minima li rende innocui e questo sembra esprimersi quando si taglia una mela lungo il suo equatore e li si vedono disposti come i petali del fiore che li ha generati.

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Bagolaro robusto e frugale

by 18 Marzo 2024

bagolaro fiorito

 

Il bagolaro, detto spacca-sassi, per le sue radici robuste che si aggrappano ovunque, cresce facilmente e con rapidità lungo le strade. Non si risente per la scarsa educazione di uomini e animali né per le auto, i camion, i trattori che comunicano col rumore e le puzze la presenza nel territorio. Si accontenta di poca acqua, poca terra, poco nutrimento alle radici. Basta il cielo e il sole al gran soffione della sua chioma, particolarmente bella anche in inverno. Ricorda vagamente ai ciliegi nei frutti che, però, sono piccoli e neri in autunno, mentre ad aprile si riempie di fiorellini giallo chiaro, che lo fanno sembrare una chioma ricciuta.

Alto e slanciato, col tronco liscio e la corteccia grigia, è simile in questo al faggio e, come lui, può vivere a lungo. Le foglie a punta di lancia, di un verde vagamente azzurrato, sono seghettate sui margini per avere una lunghezza maggiore e catturare così più sostanze dall’aria e più energia dal sole, mentre la pioggia la fanno sgocciolare con facilità lungo la punta acuta, che è la loro grondaia. Sono ottimo foraggio per il bestiame.

 

foglie e frutti di bagolaro

 

Bagolaro, pare venga dalla parola “bagola” che significa chiacchiera, forse perché sotto la sua ombra ci si ferma volentieri a parlare o perché gli uccelli lo affollano, facendone un albero ciarliero. Bagola significa anche manico, perché i manici delle fruste, che i carrettieri usavano un tempo per spronare i cavalli, erano fatti coi loro rami. Nel Sud lo chiamano caccamo ma anche albero dei rosari, perché li si facevano coi noccioli dei suoi frutti, quando non servivano come proiettili nelle cerbottane dei ragazzi. In latino si chiama Celtis australis: celtis è il nome greco che gli ha dato Linneo e australis allude alla zona sud dell’Europa, di cui è originario.

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Saint Judy

by 16 Marzo 2024

 

Saint Judy, film del 2018 di Sean Hanish. E’ la storia vera dell’avvocatessa americana Judy Wood che negli anni ottanta difendeva i diritti di una maestra afgana rifugiata degli USA dopo essere stata picchiata e violentata dai talebani nel suo Paese per aver voluto insegnare a leggere e scrivere alle bambine. Detenuta come clandestina e sedata al punto da essere incapace di parlare, rischiava di essere rimandata in Afganistan dove sarebbe stata uccisa dai fratelli maschi per la vergogna di quanto era successo. La legge americana non prevedeva che questa fosse una ragione sufficiente per darle asilo politico, in quanto trattava di questioni di famiglia. L’avvocatessa però, informandosi con grande attenzione ed empatia su ogni dettaglio della questione aveva colto un dettaglio fondamentale che cambiava il significato della minaccia incombente sulla donna e dunque il modo giuridico di trattare simili casi, comuni a moltissime donne, che da allora hanno ottenuto protezione negli USA.

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Olmo che fiorisce due volte

by 3 Marzo 2024
frutti dell'olmo, simili a fiori verdi

frutti dell’olmo, simili a fiori verdi

 

L’olmo, che un tempo era uno degli alberi europei più diffusi, è stato quasi sterminato da una malattia, la grafiosi, portata da un coleottero americano che scava gallerie sotto la corteccia e favorisce il propagarsi di un fungo micidiale che occlude dei capillari da cui passa la linfa.

Il tronco dell’olmo campestre sorreggeva le viti che ogni contadino coltivava e che diventavano, così, “maritate”. L’ombra delle sue foglie non disturbava la maturazione dell’uva, perché erano continuamente date in pasto agli animali, dato che sono molto nutrienti. Piccole e seghettate, erano usate per curare le malattie della pelle, allo stesso modo della corteccia. Sono belli i fini ramoscelli secondari, che pendono come quelli dei salici piangenti o delle betulle. D’inverno, quando sono spogli, la galaverna li ricopre e l’albero sembra avere lunghi capelli argentati. Ha radici estese, di media profondità, che si associano a quelle di altri olmi.

 

Il più bel regalo, però, l’olmo lo fa al suo risveglio dal letargo invernale, quando sembra fiorire due volte. La prima a fine inverno, con fiorellini rossi così delicati che sembrano di tulle. La seconda poco dopo, quando i frutti già maturi ad aprile, simili a coriandoli di carta velina che trattengono al centro il loro piccolo seme, sono disposti come le corolle di grandi fiori di un verde fresco. Ben presto se ne volano via leggeri, a portare la loro grazia in un terreno che sperano accogliente. Quando sono ancora verdi si possono mangiare come insalata.

Impacchi dei suoi germogli guariscono le ulcere delle ferite, pare anche quelle della lebbra. Per questo spesso si piantavano olmi accanto alle chiese dedicate al guerriero San Michele arcangelo. Il legno dell’olmo è tanto resistente all’umidità che si usava per le pale dei mulini ad acqua e i pilastri delle palafitte. Anche Venezia, insieme ad ontani e larici, deve agli olmi la forza delle sue fondamenta acquatiche.

Tratto dal mio libro ALBERI DELLA CIVILTA’

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Del perduto amore

by 19 Febbraio 2024

Del perduto amore è un film del 1998 di Michele Placido, ambientato in un paesino della Basilicata nella metà degli anni cinquanta del novecento, quando ai pregiudizi comuni dell’epoca si erano aggiunti quelli verso il comunismo. Per la chiesa cattolica l’adesione a questo partito era peccato mortale, così come lo erano le pratiche sessuali al di fuori del matrimonio. Liliana, una giovane comunista si adoperava con fervore per l’emancipazione delle donne e per l’istruzione dei giovani, tanto da far innamorare l’adolescente Gerardo, che voleva farsi prete e riconosceva in lei gli ideali dell’autentico cristianesimo. Durante la campagna elettorale si erano evidenziate con chiarezza le ipocrisie nei vari partiti, compreso quello comunista, i cui candidati erano uomini avversari dell’unica donna, Liliana, dimostrando per l’ennesima volta la grande differenza che c’è troppo spesso tra ciò che si crede di credere e ciò che si fa.

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Lindbergh, l’aquila solitaria

by 12 Febbraio 2024

 

Il libro avvincente scritto da A,Scott Berg nel 1998 narra la vita del pilota d’aereo che nel 1927 a venticinque anni sorvolò l’oceano Atlantico da solo su un piccolo areo monoposto, partendo da New York e raggiungendo Parigi in trentatré ore. Nessuno prima di lui l’aveva fatto in solitaria e nessuno suscitò tanta impressione né ottenne tanta popolarità, perché aveva realizzato quello che probabilmente è uno dei desideri più profondi dell’essere umano, come il volo e la libertà degli uccelli. In questo modo aveva colpito l’immaginazione di gran parte delle persone, quale che fosse il ceto sociale, l’istruzione, la nazionalità. Aveva unito il mondo con un simbolo molto forte e con questo aveva favorito l’amicizia fra molti Stati in modo improvviso, con risultati che nemmeno anni di mosse diplomatiche, stanziamento di grandi somme e leggi speciali avrebbero potuto ottenere. In questo libro sono documentati dunque oltre alla vita di Lindbergh e della sua famiglia, la forza dei gesti simbolici e i comportamenti delle masse, che venendone toccati possono esserne avvantaggiati grazie al potere della suggestione quanto perdere il senso della misura e diventare pericolosi, anche nel caso in cui le pulsioni che le dominano sono di venerazione, perché moltiplicate per centinaia, migliaia o milioni di unità.

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